L’artrosi è una malattia degenerativa della cartilagine articolare che arriva a colpire oltre il 60-70% degli adulti oltre i 65 anni. La rizoartrosi o artrosi dell’articolazione trapezio-metacarpale è la più frequente localizzazione dell’artrosi alla mano. Essa colpisce soprattutto la donna dopo i 50 anni, spesso vicino alla menopausa. Può colpire anche l’uomo, e comunque predilige persone che fanno particolari lavori nei quali vi è una importante sollecitazione del primo raggio, e una ripetitività del gesto: sarte, giardinieri, operai, addetti alle pulizie, ecc. Può avere anche un’origine post-traumatica. Durante gli sforzi la cartilagine articolare va incontro ad usura, favorita da tutte le condizioni che provocano lassità legamentosa e quindi instabilità e incongruenza dei capi articolari. La rizoartrosi si manifesta con dolore alla base del pollice, specie durante gli sforzi di presa e di pinza del pollice con le altre dita. Nelle forme gravi il dolore può comparire anche a riposo. Esiste spesso un gonfiore associato alla base del pollice, dove è anche possibile apprezzare uno scroscio durante i movimenti. Il trattamento chirurgico dipende dallo stadio di gravità, che viene deciso sulla base delle radiografie. A volte alla rizoartrosi si associa l’artrosi scafo-trapeziale. Questa associazione prende il nome di artrosi peritrapeziale (vedi scheda patologia sulla Artrosi della base del pollice).
Modalità dell’intervento e precauzioni successive
Esistono vari interventi proposti per curare tale malattia. L’intervento qui illustrato consiste nel rimuovere la causa del dolore che si localizza alla base del pollice; il dolore è provocato dal contatto/attrito tra le superfici articolari di trapezio (T) e metacarpo (M), che a causa dell’artrosi hanno perso il rivestimento di cartilagine che permetteva il movimento ed impediva il contatto tra le ossa. Fino a pochi anni fa (e ancora adesso in particolari situazioni) uno degli interventi che si attuavano era l’artrodesi dell’articolazione malata; in pratica si asportava completamente la cartilagine malata residua e si affrontavano le due ossa in modo corretto, stabilizzandole per 40 giorni con due chiodini e un gesso, per creare un callo osseo che formasse un unico osso dove in precedenza ce n’erano due. Si è visto che non in tutti i pazienti, al controllo radiografico dopo alcuni mesi, era avvenuta la “fusione” delle due ossa; in tali pazienti, comunque, il dolore era sparito e, a differenza di quelli nei quali la fusione era avvenuta, il movimento concesso al pollice era maggiore. Ricerche successive hanno dimostrato che anche se non si era formato il callo osseo, si era comunque formato un callo fibroso, morbido, che si interponeva tra le due ossa evitandone il contatto e l’attrito, e che, d’altro canto, permetteva un certo movimento. Quello che all’inizio poteva essere considerato un fallimento dell’intervento di artrodesi, adesso è ciò che si cerca di ottenere.
Per fare ciò, le fasi dell’intervento sono identiche a quelle dell’artrodesi, ma per evitare che avvenga la deposizione del calcio (che darebbe luogo al callo osseo e di solito inizia dopo un periodo di 20 giorni) si rimuovono l’apparecchio gessato e i due chiodini (fili di Kirschner) dopo 18-20 giorni e si permette subito il movimento. L’intervento dura circa un’ora e viene eseguito in anestesia plessica; l’anestetico viene iniettato in corrispondenza del cavo ascellare o al collo, per anestetizzare tutto l’arto superiore. L’apparecchio gessato, aperto a valva, ingloba l’avambraccio, il polso, il palmo e il pollice, mentre lascia libere le altre dita.
Il ricovero è in regime di Day Surgery e, dopo alcune ore, il paziente potrà tornare a casa. Nel periodo successivo saranno concessi lavori leggeri senza però bagnare e sporcare il gesso; la mano, il gomito e la spalla devono essere mossi per almeno cinque minuti di ogni ora durante il giorno, aprendo e chiudendo completamente le dita lunghe (a pugno). Non ci si deve spaventare se compare una chiazza scura o un po’ di gonfiore alle dita: è molto importante muovere comunque e tenere sopraelevati la mano e l’arto (con cuscino al proprio fianco di notte, mentre di giorno è sufficiente sollevare l’arto sopra il capo, per alcuni minuti, ripetutamente). Per la sutura cutanea vengono utilizzati fili riassorbibili, che si sciolgono nel giro di due settimane. Alla rimozione del gesso, il paziente potrà riprendere da subito, ma con gradualità, tutte le sue normali attività, mentre per tornare a lavoro dovrà aspettare almeno altri 20 giorni e per questo periodo dovrà indossare un tutore la notte. Egli deve essere avvertito che occorrono alcuni mesi (in media 6 mesi) perché il dolore scompaia completamente. Nell’immediato postoperatorio il paziente sarà seguito dal fisioterapista per gli esercizi del caso.